Ecuba | Ifigenia
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“Ecuba” and “Ifigenia” composed by Marco Betta
Electronic Reworks by Giovanni Di Giandomenico (“Ifigenia”, track 3) and Luca Rinaudo a.k.a. Naiupoche (“Ecuba”, track 5)
Marco Betta: piano
Giovanni Di Giandomenico: electronics, programming (track 3)
Naiupoche: electronics, programming (track 5)
Produced by Gianluca Cangemi & Luca Rinaudo
co-executive producer: Danilo Romancino
Piano recorded at Zeit Studio (Palermo, Italy) by Gianluca Cangemi & Luca Rinaudo
Mixed and mastered by Luca Rinaudo at Zeit Studio (Palermo, Italy)
Piano technician: Marcello Barranco
Art direction and design by Antonio Cusimano / 3112htm.com
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Ecuba, Ifigenia, linee, punti, segmenti da Euripide, figure evocate, sospese in un labirinto di paesaggi e acquari sonori nati per pianoforte, ricomposti e tradotti da Giovanni Di Giandomenico e Luca Rinaudo a.k.a. Naiupoche.
Ecuba, Ifigenia sono ombre e cristalli di melodie e armonie nate solo ascoltando il suono dei nomi, figure da ritrarre ma personaggi irraggiungibili che rimangono sospesi nel fondo della memoria. Immagini di personaggi di Euripide che per la loro organizzazione in suoni possiedono la leggera vertigine che hanno i ritratti nel non somigliare completamente ai soggetti che raffigurano, sorte di figure non viste ma che vivono dentro di noi e che emergono a tratti nei pensieri come immagini di anime o ombre che attendono di essere confermate ad ogni nuova lettura, ad ogni nuovo incontro, ad ogni nuovo sogno.
Tre letture le nostre, di Giovanni, di Luca con la mia incrociate, cammini simmetrici con rifrazioni, tre mari incontrati nel destino di un nuovo lavoro inizio di una navigazione senza bussola. Nessuna direzione se non quella del sentirsi insieme per condividere con semplicità e naturalezza la bellezza dell’esserci con e per la musica che vive in noi. Siamo fatti anche di suoni. Tre sguardi nati, cresciuti, voluti da noi in un respiro di libertà.
[Marco Betta]
Ritrovarsi materia sonora così genuina è sempre una manna dal cielo. Il lavoro di Marco, con lui stesso al pianoforte, è in qualche modo “antipianistico”, nel senso che distrugge quello che è la nostra esperienza solita dello strumento: ti spinge a concentrarti più sulla musica che sul “pianismo” o sul pianoforte in sé e per se. Mi sono lasciato trasportare da questo, in un prima fase di trasformazione del materiale, senza badare troppo alla forma. Tagliuzzare, rimontare, generare timbri nuovi da quello già esistente del pianoforte, a partire però dalla ricca armonia implicita e dai canti “sottintesi” di Marco. Così ho ottenuto una tavolozza di colori già più varia. A questo punto ho ripetuto questo tipo di lavorazione fino a quando non mi sono sentito soddisfatto dei colori a mia disposizione. Ora bastava lavorare di accumulazione, cercando di trovare una narrazione: il brano di Marco è una piccola poesia, io ho cercato di trasformarlo in prosa, di raccontare partendo dall’emozione lasciata dall’ascolto della sua Ecuba.
In Almendra cerchiamo sempre di “prenderci delle libertà”, abbiamo cominciato a farlo col violoncello di Giovanni Sollima e credo sia proprio nella nostra natura: smontare e rimontare continuamente, per inventare il nuovo dentro il nuovo. Così ho fatto anche con la musica di Giovanni Di Giandomenico in un altro lavoro parallelo; lavoravo al missaggio del suo album “Q”, e immaginavo intanto altre soluzioni, annotandole via via, poi a disco ultimato ho lasciato uscire queste immagini, rielaborando buona parte dei brani che compongono l’album (e il risultato di questo “dialogo delle rispettive fantasie” ora è anche un liveset in cui suoniamo assieme). A questo gioco ha cominciato a giocare anche Giovanni, e dal risultato si sente che si diverte molto.
[Naiupoche]
La musica di Marco Betta attiva spesso in me un processo di fantasia molto legato al senso della vista. Ho voluto quindi tradurre la sua “Ifigenia” come una piccola architettura di immagini, molto definite, nitide, un palazzo di piani non allineati che si affacciano l’uno sull’altro senza che mai si riesca a trovarne un principio e una fine.
Il rework di Naiupoche è incredibile, mi piace tantissimo perché si accosta con una tale dolcezza e sensibilità al contesto sonoro, alla sorgente da cui proviene, e con un’eleganza veramente rara. Mi piace anche il modo, che infatti credo sia simile fra Marco e Luca, di organizzare la forma e di distenderla, più che in un processo, in una serie di processi talmente intimi da essere effettivamente endostrutture dei loro lavori. Mi piace essere in questo progetto aperto, in questi dialoghi con Luca e Marco, perché da entrambi ho sempre imparato molto, e in questo caso una volta ancora entrambi mi hanno lasciato del tutto libero di dire la mia insieme a loro, attingendo ad un materiale pianisticamente fantastico e compositivamente perfetto, nonché alle loro emozioni più profonde ed invisibili.
[Giovanni Di Giandomenico]